mercoledì, marzo 28, 2007

I ciddari dei Sassi di Matera, antica tradizione contadina

Il vino rappresentava uno degli alimenti base della civiltà contadina del sud Italia. Il consumo del vino, che avveniva lungo tutta la giornata, a partire dalla colazione di metà mattinata, assicurava l’apporto calorico ed energetico per affrontare il duro lavoro dei campi.
Ma il maggior uso del vino avveniva a fine giornata quando, finiti i lavori gli uomini si ritrovavano nel “ciddaro”, una vera e propria istituzione nella Città dei Sassi.
Si trattava di cantine ricavate solitamente in locali ipogei dove avveniva la produzione o, più spesso la conservazione ed affinamento del vino.
Luogo di incontro e socializzazione, era anche dove si concludevano affari, si contrattava la manodopera o semplicemente si passavano le serate a chiacchierare o a giocare a carte.
Normalmente la zona più profonda, particolarmente umida e fredda, veniva riservata alla conservazione del vino, l’area anteriore più vicina all’ingresso ed arieggiata, accoglieva la clientela al caldo di un grande camino a legna. Un lungo banco in muratura rivestito di piastrelle di ceramica separava i due ambienti e fungeva da banco mescita.
I più famosi come “Panza a credenza”, “Traione”, “Menavento”, “Uarnascidd”,”Cantina dell’Angelo”, i cui nomi sono conosciuti ancora oggi, erano locali particolarmente frequentati da clientela di tutte le fasce sociali.
Normalmente il vino della casa veniva servito in caratteristiche brocche di terracotta spillandolo direttamente dalle botti. Vino rosso o bianco di diverse provenienze veniva bevuto in piccoli bicchieri di vetro. Ogni cantina proponeva un suo assortimento di vini ottenuti secondo uvaggi e metodi di vinificazione personali che vi conferivano particolari asoetti.
Gli avventori portavano invece in tasca il companatico, il cosiddetto “muzzchidd”. In una società agricola e pastorale non era difficile per i clienti portare da casa piccoli campioni della propria produzione. Ognuno proponeva all’assaggio qualcosa di propria produzione, ne nasceva un naturale confronto, discussioni e paragoni sulla capacità nel produrre o conservare i vari prodotti, in un clima a metà tra un “laboratorio sensoriale” ed una goliardica gara di abilità.
Gli assaggi erano particolarmente adatti ad incoraggiare il consumo del vino: olive secche, biscotti, salumi, formaggio, meglio se piccanti e salati. Il cantiniere proponeva talvolta piccoli assaggi di fave o ceci abbrustoliti e verdure fresche da consumare crude come il finocchio o il sedano che, per il particolare aroma, mascheravano eventuali difetti del vino, da cui il modo di dire lasciarsi infinocchiare.
Nell’ampio spazio riscaldato da un grande camino, la clientela sedeva intorno a piccoli tavoli quadrati, le “buffette” realizzate con legno povero, normalmente pino o abete e dipinte con avanzi di vernice color pastello, spesso diversi fra loro. Per la caratteristica stessa d’essere pezzi di arredamento recuperati o realizzati con materiali di recupero, non esisteva una forma standard che variava dal piccolo tavolo quadrato a quattro posti al lungo tavolo su cui sedevano tutti i commensali insieme.
Nelle serate di particolare affluenza come il sabato o nei periodi festivi, o per ricorrenze particolari il cantiniere proponeva portate speciali come l’arrosto di agnello o gli “gnumuridd”(involtini di interiora di agnello) o la salsiccia di maiale, o vere e proprie portate di cucina come involtini al ragù, ma sempre consumati fugacemente, senza posate, posti al centro del tavolo su fogli di carta paglia.
Lo stesso cantiniere serviva il vino con l’aiuto di tutti i componenti della famiglia, anche i più giovani, mescolandosi volentieri alla clientela assumendo spesso un ruolo di animatore delle serate con recitazioni e battute scherzose.
Era il ciddaro il luogo di elezione dove celebrare le fasi di avanzamento dei lavori di costruzione di un palazzo e tutta una serie di piccoli eventi e ricorrenze che cadenzavano i ritmi della società contadina.
Purtroppo negli ultimi dieci anni gli ultimi ciddari sono andati scomparendo per le mutate esigenze di consumo, per i diversi ritmi di vita e di lavoro, lasciando il posto a moderni e anonimi ristoranti o semplici punti vendita vino. Sarebbe coraggiosa, la scelta di imprenditori illuminati che, volessero riproporre oggi un “Ciddaro” secondo la soluzione originale, che seppure inevitabilmente rivisitata alla luce delle esigenze odierne, simboleggerebbe un particolare attaccamento alle tradizioni locali e dalla nostalgia di chi crede che le proprie radici contadine siano un grande patrimonio da valorizzare.